mercoledì 27 marzo 2013

Questione di punti di vista


Avere i suoceri a casa per oltre un mese ha i suoi pro e i suoi contro.
I suoceri. A casa. Per oltre un mese.
Eh.
Quando ne parlo, ci fosse mai qualcuno che mi dica: “Che vuoi che sia…”.
Un tiepido incoraggiamento. Niente di niente.

Comunque, non essendo sposata, non sono i miei suoceri, ma soltanto i genitori di lui. Cambia qualcosa?
Ogni anno, prima del loro arrivo, provo quella sorta di apprensione che mi porta a chiedermi: “Ne uscirò viva?”.
E ogni anno, quando lui mi domanda se sono d’accordo che i suoi rimangano per cinque settimane, ho quell'attimo di esitazione che… insomma, aspetta un attimo, parliamone, non si può fare quattro?
Ma poi mi sento un po’ la strega cattiva e non dico mai niente.
Alla fine noi viviamo in Toscana, loro in Sicilia, vengono una volta l’anno, posso mettermi a contrattare il tempo che devono rimanere?

E poi ho un ottimo rapporto con loro. Quello che mi preoccupa è la condivisione degli spazi (stretti, perché non abito in un palazzo).
Le abitudini di ognuno da far conciliare con quelle degli altri.
Tipo, io mi sveglio alle sei di mattina per il lavoro, mi trascino in cucina per prepararmi un caffè e non vorrei vedere-parlare-sentire nessuno almeno per un’ora.
Con mia suocera, alle sei di mattina, la cucina è già in grande fermento e se mi va bene trovo la pentola sul gas, con la cipolla che scoppietta allegramente in attesa del macinato per il ragù.
Se mi va bene.
E quella cipolla, a quell’ora, è proprio diabolica perché ti entra dentro e non ti abbandona per il resto della giornata.
Ovunque andrai, sentirai sempre quell’odore di cipolla.

Oppure i pranzi.
I pranzi sono devastanti.
Per fortuna che durante la settimana mangio fuori, perché penso che ne potrei morire.
Prendi un altro po’ di carne che oggi hai mangiato poco”.
Ho mangiato poco?!? Quella quantità di cibo mi basta per una settimana!
E mia suocera, dopo quei pranzi lì, quelli che non riesci nemmeno più a respirare, appena ho finito di masticare l’ultimo boccone, mi si avvicina e mi chiede: “Per stasera cosa cuciniamo?”.
Mah, cosa cuciniamo? Facciamo una pasta al forno?
Che poi, a proposito di pasta al forno, l’altro giorno ho scoperto che oltre ai duemila ingredienti che utilizza, ci aggiunge anche qualche uovo bollito. Sbriciolato, così mio figlio non se ne accorge, “ma anche se non si vede, la sostanza dell’uovo c’è”, mi ha detto.
E certo, effettivamente è leggera una porzione di lasagne…
Non conto più neanche le calorie, quante sono? Mille? Duemila? Tremila? Macchisenefrega, è tutta sostanza.

E poi mi rivoluziona la casa, perché le cose se si mettono sistemate occupano meno posto e ancora non si è resa conto, dopo 7 anni che mi conosce, che se tanto io sono disordinata, non ce la farò mai a mantenere il suo ordine.
Bello, indubbiamente. Ma non fa parte di me.

Però.
Però arrivo a casa la sera e trovo tutto pulito, lavato, stirato, cucinato e profumato.
Però trovo il pane fatto in casa.
Però mia suocera mi si avvicina con dolcezza e mi dà un sacco di quei buoni consigli che vengono dall’esperienza di una vita, che a me non ha mai dato nessuno.
Però mio suocero, quando esco di casa la mattina, mi chiede se ho fatto colazione.
Però si preoccupano per me.
Però mi vogliono bene come una figlia.
Però sabato scorso ho passato il pomeriggio con mia suocera a preparare la pasta al forno e mi sono sentita tanto una bambina con la mamma, che le insegna quelle cose che resteranno per la vita.
Però, quando ci sono loro, mi sento parte di una famiglia.

E allora, non lo so, ma ogni volta che passano un mese a casa mia, sento che mi regalano tanto.
Anche a mio figlio.
Pazienza per la cipolla alle sei di mattina…



giovedì 21 marzo 2013

Un premio



Oggi è stata una bellissima giornata di sole, proprio di quelle che fanno tanto primavera e, dopo la pioggia incessante che c’è stata dalle mie parti in queste settimane, rivedere il sole è stato un toccasana per l’umore.
Oggi mi è arrivato anche il libro di Raffaella, che aspettavo da tempo e che non vedo l’ora di iniziare a leggere, perché ha un modo di scrivere che va diretto al cuore.
E oggi ritiro anche questo premio, ringraziando Cook and the baby per avere pensato a me.
Il Liebster blog award è un’iniziativa ideata in Germania per premiare blog meritevoli ,ma che hanno meno di 200 followers.

Le regole di questo premio sono:
  • Ringraziare il blog che ha assegnato il premio, citandolo nel post
  • Rispondere alle undici domande proposte dal blog che ti ha premiato
  • Scrivere undici cose di te
  • Scegliere altri undici blog da premiare
  • Formulare undici domande a cui loro dovranno rispondere
  • Informare i blog vincitori del premio

Allora, ho già ringraziato Cook and the baby, quindi rispondo alle sue domande:
  1. Un film che ti è servito in adolescenza o ti è servito per superare un brutto periodo? Posso dire un film che mi ha toccato molto: La vita è bella di Benigni. E’ l’unico film che mi ha fatto piangere.
  2. Una canzone la cui atmosfera ogni volta ti consola? Sicuramente Vorrei di Guccini.
  3. La cosa che ti capita più spesso di rimandare? Tutto.  Per me il proverbio funziona al contrario: perché fare oggi quello che puoi benissimo fare domani o dopodomani?
  4. Il  telefilm del cuore (ma anche I telefilm va..)? Non ne ho, non vedo mai la tv. Da adolescente Beverly Hills.
  5. La faccenda di casa più noiosa? Perché? Ce n’è qualcuna divertente? La più noiosa, stendere i panni.
  6. Hai degli animali? Adesso no, avevo un cane che è morto a dicembre.
  7. Una cosa che pensavi: non ce la farò mai, e invece poi ce l’hai fatta? Sopportare i dolori del parto.
  8. Una frase/parola che ripeti spesso in questo periodo? Macchissenefrega…
  9. Vai a letto alle ore... Più o meno intorno a mezzanotte.
  10. Avessi dei soldi extra, faresti…Con dei soldi extra… vediamo… potrei comprarmi la lavatrice e il frigorifero nuovi, la macchina e metterei l’aria condizionata a casa, che l’estate scorsa sono morta di caldo. Ma forse no. Farei un viaggio. O li spenderei tutti in vestiti.
  11. Tu e i fornelli... Io e i fornelli ci stiamo frequentando, vi farò sapere.
Adesso devo scrivere undici cose su di me:
  1. mi piace leggere, ma odio prestare i miei libri, soprattutto a chi non li restituisce
  2. da quando è nato mio figlio non vado molto spesso al cinema e questo un po' mi manca
  3. non ho il pollice verde e ho la capacità di far morire anche le piante grasse
  4. mi piace avere dei momenti in cui stare da sola
  5. mi piace ricamare a punto croce, soprattutto la sera dopo cena. Mi rilassa e libera la mente. Ora non ho molto tempo per farlo, perché la sera esiste soltanto...
  6. Ruzzle! Non riesco a farne a meno, sono diventata dipendente
  7. sono incostante, inizio le cose e spesso le lascio a metà
  8. non amo essere al centro dell'attenzione, sono piuttosto timida
  9. non riesco a uscire di casa senza trucco, mi sembra che manchi qualcosa
  10. sono profondamente disordinata e a volte vorrei avere una bacchetta magica che, in un soffio, mi sistemasse tutto
  11. sono soddisfatta per essere riuscita ad arrivare alla fine di questa lista e non averla lasciata a metà
Queste sono le mie domande:
  1. Ti piace leggere? Il tuo libro preferito?
  2. Mare o montagna?
  3. A volte vorresti essere...
  4. Sei superstizioso/a?
  5. Non potresti mai fare a meno di...
  6. Una canzone legata a un bel momento vissuto
  7. Segui l'istinto o la ragione?
  8. Esiste l'amicizia tra uomo e donna?
  9. Ti piacerebbe incontrare...
  10. Dolce o salato?
  11. Se fossi un animale...

E infine gli undici blog che ho scelto per il premio:
  1. mammamimmononsolo
  2. pensieri in viaggio
  3. la valigia sotto sopra
  4. rachele racconta
  5. portapazienza
  6. per due chiacchiere citofonare qui
  7. matrigna part-time
  8. mamma che emozione!
  9. mamma che stronza!
  10. ma che hai messo su il caffè?
  11. la mia vita
Vado ad avvisare!

martedì 12 marzo 2013

Ieri e oggi


Ci sono momenti in cui il tempo che passa fa un certo effetto.
Quando ero bambina non sopportavo gli incontri casuali con gli amici dei miei genitori, perché odiavo le solite frasi “Ma quanto è cresciuta!”, “Non è possibile che sia già diventata così grande!”, “Si vede come passa il tempo!”…
Ogni volta mi stampavo in faccia un sorrisetto di circostanza, mentre dentro di me sbuffavo annoiata, chiedendomi come fosse possibile che tutti ripetessero sempre le stesse cose.
Per me erano frasi fatte, inutili convenevoli, buttati là così, per dire qualcosa, senza senso.
Poi succede che passi dall’altra parte della barricata e il tempo che passa te lo trovi seduto di fronte.
E la storia cambia.
Quei convenevoli di allora lo assumono, un senso.

A volte capitano momenti così.
Momenti in cui porti tuo figlio a uno spettacolo per bambini e trovi una tua compagna di classe delle superiori, seduta proprio di fronte a te.
Il tempo che passa.
Che fa uno strano effetto.
Perché una cosa è quando le persone ti camminano accanto, mentre il tempo trascorre, un’altra è quando fai un bel salto di vent’anni.
Lì per lì, un po’ lo trattieni il fiato.
Vent'anni…

Beh, alla fine ci riconosciamo ancora”, mi ha detto lei, per rompere quel primo momento di lieve imbarazzo misto a stupore.
Ci siamo messe a parlare, di tutto e di niente, come forse si fa in questi casi, perché non è che quella vita che c’è stata nel mezzo la puoi raccontare in mezz'ora.
Peschi le ultime cose, quelle più vicine, quelle che fanno parte del presente: tuo figlio che va a scuola, il tuo lavoro, dove vivi, le conoscenze comuni, lo spettacolo appena visto, la pioggia che non dà tregua.
Parli come se fosse passato qualche giorno dall'ultima volta, ma non è un parlare a vuoto, non sono convenevoli.
Perché c’è intesa.
C’è una visione simile delle cose, in quelle poche parole e in quel ridere insieme, dietro a un paio di battute.

E allora ho pensato che forse è così, quando con una persona c’è stata una forte sintonia e hai condiviso con lei un’età importante.
Basta un flash, un secondo appena, per ritrovarla, quella sintonia.
Basta uno sguardo, che rimane sospeso per qualche secondo, prima di riconoscersi.
E quel filo che ieri ci univa e che era fatto di interrogazioni, primi amori e uscite insieme, si può ricongiungere in un attimo, anche se oggi è fatto di figli, lavoro e mutuo da pagare.
Ci siamo ripromesse di rivederci presto, consapevoli che spesso questo non succede.
Non lo so se ci rincontreremo domani o tra altri vent’anni, ma è stato bello ritrovare quell’intesa.
E’ stato bello uscire da quella stanza con una delle tue migliori amiche della scuola e con i nostri figli per mano.
Anche se fa uno strano effetto.
Anche se lo senti che quel tempo di ieri, non è quello di adesso.
Perché al ragazzetto che, quella stessa mattina, ti ha fatto squillare il telefono di casa alle cinque per farti uno scherzo e ti ha fatto prendere un mezzo colpo, due o tre parole gliele diresti volentieri.
Forse anche più di due o tre, forse gli faresti una vera e propria paternale, di quelle pesanti, di quelle che lo riempiresti talmente di sensi di colpa, da farlo sentire un vero str…
Ieri li facevo anch'io, gli scherzi al telefono (non alle cinque di mattina).
Ma oggi sono dall'altra parte della barricata.


sabato 9 marzo 2013

L'uomo ideale

Ieri è stata la festa della donna.
Come ogni anno, ci sono state mille contestazioni riguardo a questa giornata, perché c’è chi la ritiene una festa inutile, chi ne ricorda il vero significato, chi sostiene che dovrebbe essere festa tutto l’anno, ecc. ecc.
Quello che è evidente, è che siamo lontani anni luce dalla parità e questo ce lo ricordano, quasi quotidianamente, i fatti di cronaca.
Comunque io rispetto ogni pensiero, perché in ognuno c’è la sua verità, e, per la giornata di ieri, scrivo soltanto una frase del mio scrittore preferito, Alessandro Baricco, che è uno che ami alla follia o odi profondamente, senza mezze misure.


"Fanno delle cose, le donne, alle volte, che c'è da rimanere secchi. Potresti passare una vita a provarci: ma non saresti capace di avere quella leggerezza che hanno loro, alle volte. Sono leggere dentro. Dentro.” (A. Baricco – Oceano mare).

Penso che se dovessi rinascere vorrei essere uomo.
Così, soltanto per vedere l’effetto che fa.
Qualche giorno fa scherzavo con un’amica su quanto sia più facile la vita da uomo e alla fine siamo arrivate a chiederci quale sia il prototipo di uomo ideale.
Non è così facile trovarlo, sia nei libri che nei film.
E’ difficile pensare a un uomo che incarni tutte quelle caratteristiche, tali da farlo diventare un vero e proprio esemplare.
Qualcuno potrebbe pensare che noi donne siamo impossibili da accontentare, ma non è così.
Perché alla fine, al di là delle parole, stringi stringi, noi donne abbiamo anche gusti piuttosto comuni e, più o meno, inciampiamo nelle stesse cose.
Io odio i fiori, per esempio.
Ma se  l’uomo che mi piace mi aspetta con un mazzo di fiori, non ci posso fare niente, come qualsiasi altra donna, mi sciolgo. Anche se i fiori vanno a finire nel cestino dopo un giorno.
Anche se, come dice la Littizzetto, per una donna meglio mazzi di scarpe che mazzi di fiori.
Ma è il gesto, che mi fa sciogliere.

Quindi? L’uomo ideale?

Direi che Il principe azzurro sia ormai ampiamente superato. Secondo me ha perso proprio tutta la sua attrattiva, anche tra le bambine di oggi, è proprio difficile sentir parlare del principe azzurro.
Che poi, al di là del fatto che viene sempre descritto come un bel ragazzo, lo raffigurano con quella calzamaglia imbarazzante, che insomma… Ce ne vuole di fantasia. Voglio dire, puoi anche essere George Clooney, ma se ti metti la calzamaglia… E’ dura.
Per non parlare del carattere, che viene sempre timidamente accennato.
Com’è il principe azzurro? Io non l’ho capito.
Quello di Cenerentola piuttosto addormentato, quello di Biancaneve rimane fregato per un bacio (a stampo, per giunta) e quello de La Bella Addormentata nel bosco più o meno la stessa cosa.
Insomma, virilità zero per il principe azzurro, carattere, non pervenuto.

Versione moderna del principe azzurro: Mr Grey.
Mr Grey, lui, il nuovo idolo.
Non si è parlato di altro per mesi interi.
Dovunque andassi, o c’era qualcuno che leggeva quel libro o qualcuno che ne parlava.
Ovviamente anch’io l’ho letto e, se c’è rimasta qualche donna che non sa di cosa sto parlando, mi riferisco alle “Cinquanta sfumature”, nelle tre versioni: grigio, nero e rosso.
La storia, ormai è nota: Ana, ingenua studentessa universitaria e nuova Cenerentola, invece della scarpetta, perde la verginità. E si innamora di lui: Mr Grey, l’uomo che “ogni donna vuole”, come si legge in qualche recensione.
Lui è ricco, proprietario di case, uffici, aerei, elicotteri, barche, auto e qualsiasi altra cosa si possa immaginare e guadagna, a 27 anni, centomila dollari l’ora.
Ovviamente è bellissimo, suona il pianoforte, ha fascino da vendere.
Ah! E’ un dominatore, vuole soltanto donne che accettino di sottomettersi a lui.
Allora, l’uomo stupendissimo, che ti regala la macchina, il computer, una montagna di vestiti o qualsiasi cosa tu possa desiderare, potrebbe anche essere allettante.
Ma basta. Finisce lì.
Perché io sfido chiunque a reggere tutto quel sesso in qualsiasi istante, in qualsiasi posto “in tutti i luoghi, in tutti i laghi, in tutto il mondo, l’universo”.
Al di là di come viene fatto, quel sesso, al di là delle sculacciate (che poi doveva essere tutto questo libro scandaloso e non si va oltre questo. Ma questa è un’altra storia).
E’ proprio averne sempre voglia, non pensare a altro, essere sempre pronti.
No, Mr Grey non va bene, perché quando è troppo è troppo.

Ho letto da qualche parte che l’icona romantica letteraria preferita dalle donne sia Mr Darcy.
Quello di Jane Austen.
Mr Darcy di Orgoglio e pregiudizio.
Allora, io un po’ ci ho pensato e devo dire che effettivamente qualche punto ce l’ha, questo Mr Darcy.
Oltre a essere bello, ricco, forte, deciso, orgoglioso e anche un po’ scostante, quello che lo rende attraente è il fatto che non si innamora della classica donna stupenda, dolce, sensibile ecc. ecc. (tenuto conto anche che il romanzo è di duecento anni fa).
No, lui perde la testa per una ragazza provinciale, non più giovanissima, non bellissima, che gli risponde a tono, che rifiuta la sua proposta di matrimonio e che sa esattamente cosa dire. Con una famiglia che la mette in imbarazzo.
Insomma, si innamora di una donna con un carattere.
Una che, in chiave moderna, se ne sbatte se si mette i calzettoni di lana perché ha freddo ai piedi. O che non si sottopone alle più inutili torture per essere perfetta fisicamente, ma piuttosto legge un libro in più.
Insomma, a me,  questo Mr. Darcy, ispira proprio.

E voi che ne pensate? Qual è il prototipo di uomo ideale?


domenica 3 marzo 2013

Quello che funziona

Chi soffre di mal di testa sa che ci sono dei momenti in cui vorresti soltanto stare al buio, senza parlare e senza sentire rumori intorno a te, perché c’è quel dolore pulsante che ti sta trapanando il cervello, che non dà un attimo di tregua.
E’ in quei momenti che, puntualmente, a tuo figlio balza in testa qualcosa, per cui tu dovresti dire no.
Tipo andare a comprare il centesimo pacchetto di figurine o mangiarsi la cinquantesima barretta di cioccolata.
Ed è in quei momenti che, nonostante gli daresti il pin del bancomat per farlo tacere, d’istinto dici no.
E sai che trasformare quel no in un sì, ti si ritorcerà contro per il resto dei tuoi giorni.
Così, ogni volta che hai quel mal di testa che lasciatemi sola, non voglio vedere-sentire-parlare con nessuno, parte il martellamento.
Quello vero.
Quello che realmente riesce a trapanarti il cervello.
Quello che il mal di testa, al confronto, è niente.
Io ci provo e dentro di me lo recito, il mio mantra “noncedononcedononcedononcedononcedo”.
Ma non sempre funziona.
Perché lui sceglie proprio quel momento lì, quello in cui gli potresti promettere un negozio intero di giocattoli, pur di non sentirlo più parlare.


Ci sono dei giorni in cui compri al mercato quintali di pazienza e cerchi di farne una scorta infinita, perché, tu, di pazienza, non ne hai mai avuta molta.
E attingi da quella scorta, quando decidi di mettere fine a quel caos che regna incontrastato in casa tua.
Perché, se nove volte su dieci prendi i suoi giocattoli e li sistemi tu, mentre senti risuonare nell’orecchio la voce saggia del grillo parlante che ti ripete che così non imparerà mai a ordinarli da solo, arriva anche quella volta in cui decidi di ascoltarlo, quel maledetto grillo parlante.
E lo fai con dolcezza, perché hai letto da qualche parte che “se hai una voce dolce e una mano morbida, con un filo guiderai un elefante”.
E a te, queste frasi, sono sempre piaciute tanto.
Amore, per favore, potresti raccogliere tutti i giochi che ci sono per terra, così metto la tovaglia e possiamo mangiare?
La sua risposta è la dimostrazione che, quelle, sono sempre frasi fatte: Stasera la metti per terra, la tovaglia? Hai deciso di fare un pic-nic?

Ci sono dei momenti in cui tuo figlio diventa un vero e proprio agnellino.
Chiedi qualcosa e lui ti risponde di sì.
Subito.
E allora pensi che sicuramente avrai capito male e formuli di nuovo la domanda.
Sì.
Subito.
Il tempo delle illusioni è finito ormai da tempo.
Prendi il termometro: ha la febbre a 39.

Dai figli si imparano un sacco di cose, indubbiamente.
Il mio, per esempio, mi ha insegnato il vero significato della parola eccezione.
Una parola da usare con vera parsimonia, mai con distrazione e sempre in pochi, sceltissimi casi.
Perché se fai un’eccezione e gli fai vedere la televisione durante la cena, il giorno successivo te lo chiede anche per colazione e per pranzo.
E il suo modo di chiedere, non è chiedere e basta.
E’ quel martellamento che dicevo sopra, che sfida il tuo self-control all’inverosimile.

Ma noi mamme ce la caviamo sempre, perché abbiamo infinite risorse e troviamo sempre il modo di risolvere la situazione.
Più o meno.
So che farò inorridire tutte le Tate Lucia che leggeranno questo post, ma la mia ancora di salvezza è la televisione.
Io ringrazio, benedico la televisione.
Per quei momenti di pace in cui lui vede i cartoni animati, perché non la possiamo completamente eliminare, la televisione.
E perché è diventata la mia unica arma di ricatto.
Non si fanno ricatti con i bambini?
Lo so, ne sono perfettamente consapevole.
Ma non è così semplice riuscire a farsi ascoltare.
Riuscire a fargli capire che dalla mia bocca escono suoni con un significato preciso.
Che a volte parlo da sola, ma la maggior parte delle volte sto parlando con lui.
Non si fanno i ricatti.
Ma funzionano.
E la minaccia di tenere la televisione spenta è l’unica che lo fa diventare un vero soldatino.
No, proprio un soldatino no, però fa il suo effetto.
Chiedo perdono a Tata Lucia.
Ma accetto altri consigli, soltanto se funzionano veramente.

 Con questo post, partecipo al blogstorming




giovedì 28 febbraio 2013

Confronti

Ancora oggi mi capita, ogni tanto, di infilarmi nel circuito dei confronti.
E nel confronto, perdo sempre.
Perdo oggi, che sono adulta, come perdevo quando ero bambina e poi adolescente.
E’ stata mia mamma a farmelo conoscere, quel circuito, a volte diabolico.
E’ stata lei, che mi ha cresciuto facendo confronti.
E c’era sempre qualcuna più bella di me, più magra, più ubbidiente, più spigliata, più, più, più…
C’era sempre di più, oltre me.
Non è semplice, quando cresci, riuscire a scrollare certi meccanismi che ti girano addosso per anni, come una seconda pelle, e inserirne di nuovi.
Ogni tanto ci casco ancora.
Guardo le altre mamme…e vedo me.
Nel confronto non sono una buona mamma.


Non sono super-organizzata, non lo ero nemmeno quando lui era piccolino.
Non mi sono mai portata dietro tutto l’occorrente nel caso in cui avesse fame, freddo, caldo, sonno, sete ecc. ecc.
Non so sempre esattamente cosa fare, non mi ricordo a che età ha messo il primo dentino, a quanti mesi ha detto mamma, quante parole diceva a due anni.
Non gli organizzo ogni minuto del suo tempo con attività interessanti.
Non penso sempre a lui, anzi a volte me lo dimentico.
Non parlo sempre di lui.
Mi annoio in mezzo a persone che parlano soltanto di figli.
Mi sento in colpa, per questo.
Spesso vado a tentoni, improvviso, prendo quello che viene.
Risolvo i problemi al momento, mi chiedo frequentemente se non sto sbagliando tutto.

Le altre mamme non sono come me.
Le vedo, lo so.
Nel confronto, io sono una frana.

Oggi ho ritirato la sua prima pagella: ottimi voti, ma questo già lo sapevo.
Un giudizio più che positivo: “ben inserito, aperto e disponibile, aiuta i compagni, comportamento corretto e responsabile…”.
Una lettera della dirigente scolastica, con le congratulazioni “per i risultati lusinghieri conseguiti nel primo quadrimestre”.
E i complimenti della maestra per la buona educazione.

Sono uscita da scuola che non capivo niente.
Volevo soltanto piangere.
Questa sarà una cosa che ricorderò, indubbiamente.
Ricorderò questa emozione.
Come mi ricordo la prima recita che ha fatto, piccolino, in mezzo a tutti gli altri nanetti. E’ salito sul palco e con gli occhi, tra il pubblico, cercava me.
Come mi ricordo il primo giorno che l’ho lasciato da solo al nido. L’ho consegnato in braccio alla maestra e me ne sono andata con il sorriso. Poi sono rimasta in macchina a piangere per tutto il tempo.
Tante cose le dimentico, altre non le scorderò più.

E allora penso che sono inutili, i confronti.
Perché io non sarò mai quello che non appartiene alla mia natura.
E poi, alla fine, non esistono amori perfetti.
Nemmeno quello tra madre e figlio, lo è.
Io faccio errori.
E faccio del mio meglio.
Senza confronti.

mercoledì 27 febbraio 2013

Chiacchiere



La mattina, mentre vado al lavoro, ho l’appuntamento fisso con l’oroscopo di Paolo Fox su radio Lattemiele alle 7.40.
Un po’ perché “non è vero, ma ci credo”, un po’ perché “non si sa mai”, un po’ perché è diventata una tradizione da quando ho iniziato a lavorare e ad andare in macchina con altre tre ragazze, assunte insieme con me.
Prima c’era quel buongiorno ancora mezzo addormentato, poi il caffè, l’oroscopo di Fox e poi eravamo pronte per le chiacchiere e le risate a non finire.
Anche adesso, che vado in macchina da sola, non posso rinunciare a Paolo Fox.
Perché è come se mi riportasse a quel periodo spensierato, in cui lo stipendio lo potevi sputtanare spendere in vestiti e cavolate inutili e non c’erano ancora figli, mutuo, bollette ecc. ecc. e il tuo pensiero più grande era cosa organizzare per il sabato sera e dove andare in vacanza e tutto aveva quella leggerezza di cui, a volte, un po’ senti la mancanza.

Insomma, da qualche tempo Fox dice che per l’Ariete è un periodo fantastico.
Dopo due anni di Saturno contro, finalmente si riparte con amore strepitoso, grandi cambiamenti sul lavoro e una vera e propria rinascita.
Io non mi vorrei lamentare, perché lo so che non si fa, non ci si lamenta, mai.
Soprattutto perché  “potrebbe andare peggio: potrebbe piovere” (cit).
Ma così, giusto per dire, mi sono svegliata lunedì mattina con una tonsilla che sembrava un cocomero e di pomeriggio mi è ritornata la febbre.
Così, giusto per dire.
Una bella ricaduta, dopo dieci giorni di reclusione in casa, ci stava.
Sono andata dal medico e questa volta gli antibiotici non me li toglie nessuno.
Mi ha prescritto anche delle vitamine e, dato che le ho prese soltanto quando ero in gravidanza, ieri mattina mi sono bevuta quella compressa effervescente dal gusto indefinito, pensando: “Adesso mi arriva una bella sferzata di energia!”.
E l’ho aspettata per tutto il pomeriggio, quella energia, sdraiata sul divano.
Ancora deve arrivare, ma aspetto fiduciosa.

Comunque devo ancora capire perché, ogni volta che vado dal medico e sto male, trovo sempre qualcuno che vuole fare conversazione.
Sempre.
Se ci vado per qualche prescrizione e magari ho anche voglia di chiacchierare, c’è lo studio pieno di gente e nessuno che ti calcola.
Se sto male, tipo lunedì con la febbre e un mal di gola che non riuscivo nemmeno a aprire bocca, trovo sempre qualcuno che vuole attaccare bottone.

Lunedì ho aperto la porta: sala d’aspetto vuota, c’era solo un ragazzo, giovane, sui trent’anni. Ho pensato che potevo stare tranquilla, non correvo rischi di conversazione.
Mi sono seduta vicino al termosifone e sono sprofondata con il viso dentro la mia supersciarpa, tremando di freddo per la febbre che saliva.
Ti auguro di non prendere l’influenza di quest’anno.
Come? Qualcuno ha parlato? Sento le voci?
Ho alzato la testa e ho guardato il ragazzo con aria interrogativa.
Ti stavo dicendo che ti auguro di non prendere l’influenza di quest’anno, perché è terribile”.
Non ci potevo credere.
Ti ringrazio, ma ho già dato, anzi questa è la seconda volta che la prendo, perché a me le cose piace farle bene.”, ho risposto in modo un po’ brusco.
Io sono stato proprio male, ho avuto due giorni di febbre, uno addirittura a 39.”.
Io ne ho avuti sei, di giorni con la febbre a 39, vedi un po’ tu…
Ma non l’ho detto.
Comunque si vede che hai la febbre, hai gli occhi lucidi”.
Ed è andata così, l’ho dovuto ascoltare mentre mi dava i suoi consigli su questa influenza terribile che lui ha dovuto affrontare e mi raccontava di quel vecchietto che era nello studio del medico ed era il nonno di un suo amico, che il padre fa il poliziotto e la madre non mi ricordo e ne aveva passate tante e… non lo so poi cosa ha continuato a dire, perché mi sono limitata ad annuire, mentre lui andava avanti con il suo sproloquio.
Vatti a fidare dei ragazzi giovani, sui trent’anni.

Mio figlio lunedì era dai miei, felice dei due giorni di vacanza regalati dalle elezioni.
Del risultato è meglio non parlarne, sono amareggiata, soprattutto mi chiedo come sia possibile continuare a votare Berlusconi.
Ma se lo chiedono in tanti, a quanto pare.
Comunque, ho telefonato ai miei e ho detto a mio figlio che, se voleva, poteva rimanere a dormire dai nonni, quella sera.
L’ho detto a malincuore, perché io non amo farlo dormire fuori.
Perché io la sera voglio andare in camera sua, vederlo tutto rannicchiato mentre dorme, dargli un bacio sulle sue guanciotte calde di sonno e augurargli la buonanotte.
“Non capisco perché devo rimanere qua a dormire se tu hai la febbre!” è stata la sua risposta e io già sentivo dentro quella piccola punta di orgoglio, che si stava facendo spazio in mezzo al resto.
No, non voglio rimanere, voglio venire a casa.” ha deciso.

Io non ho mai avuto un bel rapporto con mia madre e lei, che non è abituata a mettersi in discussione, ha sempre attribuito tutta la colpa a me e alla mia predilizione verso altre persone, tipo mia nonna.
Il suo anatema è sempre stato quello che, quando avrei avuto dei figli, sarei stata ripagata con la stessa moneta. Con lo stesso pessimo rapporto che io ho avuto con lei. E anche in questo caso, sarebbe stata colpa mia.
E allora, io lo so benissimo che in tutto questo mio figlio non c’entra niente, ma quando l’altra sera mi ha detto che voleva venire a casa, con mia madre alle sue spalle che gli prometteva mari e monti se fosse rimasto…beh… io ho goduto.
Ho proprio goduto.
Che il cielo mi perdoni, ma è stata una grande soddisfazione.

lunedì 18 febbraio 2013

Ma quando passa la febbre?

L’influenza di quest’anno è davvero terribile.
E lo dico io che sono proprio una veterana.
Che non me ne perdo una e ogni inverno, per me, è un appuntamento fisso.
Quest’anno non se ne vuole andare.
Quattro giorni di febbre e ancora mi sento come il primo giorno.
Che poi, va bene la tosse, il mal di schiena da non riuscire a stare in piedi, anche la febbre alta, sennò non sarebbe influenza, ma l’insonnia no.
L’insonnia non la posso accettare.
Dove sono finite quelle bellissime dormite lunghe tutto un giorno e una notte, tra una Tachipirina e l’altra?
Quelle dormite profonde, in cui, a sprazzi, apri un occhio giusto per vedere un tronista e poi lo richiudi immediatamente?
Niente, non si dorme.
Infinite partite a Ruzzle, me la sto cavando così.
E aspetto che passi.


Stamattina intorno alle 12.30 mi suonano al campanello: “Medico fiscale!”.
Solita risposta: “Terzo piano.”
Apro la porta e mi trovo davanti un prete giovane, di colore, che sta analizzando attentamente un foglio di carta.
Alza le mani, spaventato, non stava facendo niente, è venuto per la benedizione della casa, ma c’è un grosso problema, io non risulto nella lista di case da benedire.
Ok, cerco di spiegargli che per me non ci sono problemi e lo avviso che, nel frattempo sta salendo anche il medico.
Lui non mi capisce, forse non parla bene l’italiano, forse io non mi so spiegare, forse non essere presente su quel foglio di carta è veramente un problema.
Medico? No, io sono prete. Facciamo tutti una preghiera?”.
Ora, per me può andare anche bene, sentiamo che ne pensa il medico.
No, medico, medico non c’entra nulla. Se vuoi, preghiamo insieme.
Medico non c’entra nulla, ma nel frattempo è arrivato.
Mi guarda con un’espressione sbalordita, come se con gli occhi mi stesse chiedendo: “Ma la situazione è davvero così grave?”.

Insomma, il risultato è stato che se ne volevano andare entrambi e ritornare dopo dieci minuti.
Non è stato facile convincerli che uno dei due doveva rimanere, perché dopo dieci minuti si sarebbe ripresentata la solita situazione.
Che ne so, forse era una questione di precedenza.
Comunque alla fine è rimasto il medico e il prete è ritornato.
E nel dubbio, visto che non ero nella lista, la casa me l’ha innaffiata ben bene di acqua benedetta.
Non si sa mai…

Viva gli equivoci! 




sabato 16 febbraio 2013

Gli inizi

Adoro gli inizi.
L’inizio di un amore, l’inizio di un progetto, l’inizio di un’avventura, ogni tipo e forma di inizio, di quelli che ti fanno scorrere dentro quella sensazione di paura, adrenalina ed emozione, di quelli che ti portano le scintille sotto la pelle.

E poi le notti insonni, la testa piena di pensieri e il non riuscire a fare niente, senza che quei pensieri non caschino sempre lì, in quel chiodo che si sta avvitando lentamente dentro di te.
C’è linfa vitale, negli inizi.
E’ l’ignoto che ti fa sentire vivo.

Un inizio è la mia vicina di casa che domani parte per l’Ucraina per adottare un bambino.
Oggi l’ho vista nei suoi occhi, quella scintilla.
Ce l’aveva addosso, nello sguardo, nella voce, nelle mani, nella pelle.
Domani parte, è la prima volta che va in aereo, la prima volta che va all’estero, non sa dove dormirà domani sera, non sa quello che ci sarà dopo, non sa come lo riconoscerà, suo figlio, non sa se sarà soltanto uno.
Non sa niente, parte.
Parte, con il sangue che scoppietta sotto le vene.
Parte, dopo giornate sospese, vissute in funzione di quello che ci sarà poi.
Anche se si sa, che poi ci sarà la vita, ci saranno le difficoltà, gli impegni di tutti i giorni, la stanchezza, i problemi e tutto quello che riempe la giornata, da mattina a sera.
Ma quando inizi qualcosa, non esiste più la vita di sempre.
E allora oggi voglio cullarmi con lei in quella sensazione ed entrare nella sua bolla sospesa nell’aria, ad assaporare il suo inizio.
A sentire la vita.
Quella vita che domani sarà quella di ieri, ma oggi no, oggi inizia.


giovedì 14 febbraio 2013

Love is...


Lei è alta, robusta, dal portamento diritto e dal tono di voce acuto e forte, trasmette un’immagine di imponenza, come se tutto, nel suo essere, fosse messo lì per gridare: “Io ci sono!”.
Lui è minuto, un po’ schivo, parla poco e si muove velocemente, quasi furtivo, come uno scoiattolo che salta da un ramo all’altro.
Lei è tendenzialmente forte, ma è attraversata da una serie di debolezze, che, forse, sono tipicamente femminili.
Si infervora, si incupisce, si preoccupa, si inquieta, si perde in una goccia d’acqua, si scoraggia nelle difficoltà.
Lui è una roccia.
Pacato, sereno, tranquillo.
Non si scompone, quasi niente lo turba, perché vive guardando un bicchiere sempre pieno, mai a metà, comunque vadano le cose.
Loro si amano.
Si guardano negli occhi.
Si sfiorano la mano.
Si cercano con lo sguardo, quando sono lontani.
Parlano la stessa lingua.
Hanno un bagaglio che trabocca di vita e che trasportano insieme, hanno anni da raccontare, esperienza da regalare e un sentimento profondo che li tiene uniti.

Lei si voleva sposare, voleva una famiglia.
Lui era molto più grande, ma era timido, solitario, imbranato con le donne.
Lei iniziò a corteggiarlo.
Lui si arrese: “Io non mi sapevo muovere, in quel mondo, ma lei è stata testarda. Si è innamorata dei miei silenzi…”.

Loro camminano insieme.
Lei, a volte, si fa travolgere dalla vita quotidiana, si sente impotente di fronte agli ostacoli, si avvolge in pensieri inutili.
Lui i problemi li affronta quando ci sono, il resto lo banalizza, sorride, fa battute, distrugge i castelli che lei riesce a creare senza fondamenta.
Lei va in aereo e trema tutto il tempo, per la paura che possa cadere.
Lui sorride: “Perché continui a preoccuparti? L’aereo cade? Non è mica tuo…”.
Lui reagisce così, su ciò che ritiene banale.
Lei, ogni tanto, si irrita, ma della compostezza di lui non riesce a farne a meno.
Lei si mette a dieta più volte.
E diventa intrattabile.
Lui vuole lei, non solo l’involucro: “Forse la dovresti finire la dieta, sei dimagrita abbastanza. Lo sai che troppo magra non mi piaci.”.
Lei si prende cura di lui, lo vizia, gli insegna a parlare, là dove i suoi silenzi non sarebbero stati sufficienti.
Lui le regala le sue certezze.

Nei loro sguardi brilla quella complicità, intima e segreta, che appartiene soltanto a loro, da cui il resto del mondo non può che esserne escluso.
Anche se ne sono trascorsi, di anni.
Anche se la vita ci è passata nel mezzo, al loro amore.
Anche se lei pensa al passato e dice: “Ormai..”.
Perché lui le ricorda ancora che “non si dice mai, ormai”.

Loro hanno rischiato di perdersi varie volte negli ultimi anni.
Lei, lui, ancora lei, ancora lui e di nuovo lei.
Ogni volta c’era soltanto terrore negli occhi di chi vedeva l’altro allontanarsi.
Perché dopo un amore così, come glielo dai, un senso, al sole che sorge ogni mattina?
L’ultima volta è toccato a lei.
Doveva subire un’operazione, aveva una grande paura.
Lui ha attraversato il parcheggio dell’ospedale, sotto un violento temporale, mentre faceva freddo e l’ombrello lo aveva dimenticato a casa, insieme a tutto quello che, in quel momento, era soltanto inutile.
E’ rimasto tutta la giornata con lei, con i vestiti bagnati, per non lasciarla da sola, mentre lei lo incitava ad andare a cambiarsi e con gli occhi lo ringraziava, per essere ancora lì.

Loro li conosco da qualche anno.
Loro, per me, sono l’amore.
Non so com’erano prima, se si sono ritrovati nel momento in cui tutto il resto è stato messo da parte, o se non si sono mai persi, nemmeno quando c’era ancora tutto il resto.
Si incontrano mille coppie sgangherate, tutti i giorni, e magari lo è anche la mia, poi ti trovi davanti due persone come loro e non puoi fare altro che rimanerne affascinata.
Due persone per le quali l’amore è davvero guardare insieme nella stessa direzione e non importa se questo lo ha detto Saint-Exupéry o se è una frase dei Peanuts, perché quello che conta è soltanto l’amore.
Che resiste.
Che si sente, si percepisce, ti viene sbattuto in faccia.
Che si legge negli occhi di lei, ogni volta che lo guarda.
Che si sente nella voce di lui, quando le parla.
Che passa attraverso le loro mani, quando cercano il contatto.

Lei si chiama Luigina.
Lui Rino.
Lei ha 79 anni.
Lui 88.
E oggi, sicuramente, si sono scambiati gli auguri.

Buon S. Valentino a tutti quelli che ancora ci credono, all’amore…

mercoledì 13 febbraio 2013

Il mare d'inverno

Oggi nasce il mio blog.

E lo inizio come ho fatto altre volte, con mille altre cose, senza sapere cosa voglio fare, dove voglio andare e perché lo sto facendo.
Lo inizio sapendo che sono una persona incostante e che, magari, tra due giorni mi sarò già annoiata.
Oggi ho voglia di provare, perché è scrivendo che sono sempre riuscita a far uscire le parole che ho dentro.
Oggi quelle parole le lancio nella Rete e provo a condividerle.
Nasce così, il mio blog.
Libero di prendere la direzione che vuole, senza nessun progetto preciso.
Perché il mare d’inverno?
Perché il mare d’inverno è una sensazione.
Quella che sento più vicina a me.





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