giovedì 28 febbraio 2013

Confronti

Ancora oggi mi capita, ogni tanto, di infilarmi nel circuito dei confronti.
E nel confronto, perdo sempre.
Perdo oggi, che sono adulta, come perdevo quando ero bambina e poi adolescente.
E’ stata mia mamma a farmelo conoscere, quel circuito, a volte diabolico.
E’ stata lei, che mi ha cresciuto facendo confronti.
E c’era sempre qualcuna più bella di me, più magra, più ubbidiente, più spigliata, più, più, più…
C’era sempre di più, oltre me.
Non è semplice, quando cresci, riuscire a scrollare certi meccanismi che ti girano addosso per anni, come una seconda pelle, e inserirne di nuovi.
Ogni tanto ci casco ancora.
Guardo le altre mamme…e vedo me.
Nel confronto non sono una buona mamma.


Non sono super-organizzata, non lo ero nemmeno quando lui era piccolino.
Non mi sono mai portata dietro tutto l’occorrente nel caso in cui avesse fame, freddo, caldo, sonno, sete ecc. ecc.
Non so sempre esattamente cosa fare, non mi ricordo a che età ha messo il primo dentino, a quanti mesi ha detto mamma, quante parole diceva a due anni.
Non gli organizzo ogni minuto del suo tempo con attività interessanti.
Non penso sempre a lui, anzi a volte me lo dimentico.
Non parlo sempre di lui.
Mi annoio in mezzo a persone che parlano soltanto di figli.
Mi sento in colpa, per questo.
Spesso vado a tentoni, improvviso, prendo quello che viene.
Risolvo i problemi al momento, mi chiedo frequentemente se non sto sbagliando tutto.

Le altre mamme non sono come me.
Le vedo, lo so.
Nel confronto, io sono una frana.

Oggi ho ritirato la sua prima pagella: ottimi voti, ma questo già lo sapevo.
Un giudizio più che positivo: “ben inserito, aperto e disponibile, aiuta i compagni, comportamento corretto e responsabile…”.
Una lettera della dirigente scolastica, con le congratulazioni “per i risultati lusinghieri conseguiti nel primo quadrimestre”.
E i complimenti della maestra per la buona educazione.

Sono uscita da scuola che non capivo niente.
Volevo soltanto piangere.
Questa sarà una cosa che ricorderò, indubbiamente.
Ricorderò questa emozione.
Come mi ricordo la prima recita che ha fatto, piccolino, in mezzo a tutti gli altri nanetti. E’ salito sul palco e con gli occhi, tra il pubblico, cercava me.
Come mi ricordo il primo giorno che l’ho lasciato da solo al nido. L’ho consegnato in braccio alla maestra e me ne sono andata con il sorriso. Poi sono rimasta in macchina a piangere per tutto il tempo.
Tante cose le dimentico, altre non le scorderò più.

E allora penso che sono inutili, i confronti.
Perché io non sarò mai quello che non appartiene alla mia natura.
E poi, alla fine, non esistono amori perfetti.
Nemmeno quello tra madre e figlio, lo è.
Io faccio errori.
E faccio del mio meglio.
Senza confronti.

mercoledì 27 febbraio 2013

Chiacchiere



La mattina, mentre vado al lavoro, ho l’appuntamento fisso con l’oroscopo di Paolo Fox su radio Lattemiele alle 7.40.
Un po’ perché “non è vero, ma ci credo”, un po’ perché “non si sa mai”, un po’ perché è diventata una tradizione da quando ho iniziato a lavorare e ad andare in macchina con altre tre ragazze, assunte insieme con me.
Prima c’era quel buongiorno ancora mezzo addormentato, poi il caffè, l’oroscopo di Fox e poi eravamo pronte per le chiacchiere e le risate a non finire.
Anche adesso, che vado in macchina da sola, non posso rinunciare a Paolo Fox.
Perché è come se mi riportasse a quel periodo spensierato, in cui lo stipendio lo potevi sputtanare spendere in vestiti e cavolate inutili e non c’erano ancora figli, mutuo, bollette ecc. ecc. e il tuo pensiero più grande era cosa organizzare per il sabato sera e dove andare in vacanza e tutto aveva quella leggerezza di cui, a volte, un po’ senti la mancanza.

Insomma, da qualche tempo Fox dice che per l’Ariete è un periodo fantastico.
Dopo due anni di Saturno contro, finalmente si riparte con amore strepitoso, grandi cambiamenti sul lavoro e una vera e propria rinascita.
Io non mi vorrei lamentare, perché lo so che non si fa, non ci si lamenta, mai.
Soprattutto perché  “potrebbe andare peggio: potrebbe piovere” (cit).
Ma così, giusto per dire, mi sono svegliata lunedì mattina con una tonsilla che sembrava un cocomero e di pomeriggio mi è ritornata la febbre.
Così, giusto per dire.
Una bella ricaduta, dopo dieci giorni di reclusione in casa, ci stava.
Sono andata dal medico e questa volta gli antibiotici non me li toglie nessuno.
Mi ha prescritto anche delle vitamine e, dato che le ho prese soltanto quando ero in gravidanza, ieri mattina mi sono bevuta quella compressa effervescente dal gusto indefinito, pensando: “Adesso mi arriva una bella sferzata di energia!”.
E l’ho aspettata per tutto il pomeriggio, quella energia, sdraiata sul divano.
Ancora deve arrivare, ma aspetto fiduciosa.

Comunque devo ancora capire perché, ogni volta che vado dal medico e sto male, trovo sempre qualcuno che vuole fare conversazione.
Sempre.
Se ci vado per qualche prescrizione e magari ho anche voglia di chiacchierare, c’è lo studio pieno di gente e nessuno che ti calcola.
Se sto male, tipo lunedì con la febbre e un mal di gola che non riuscivo nemmeno a aprire bocca, trovo sempre qualcuno che vuole attaccare bottone.

Lunedì ho aperto la porta: sala d’aspetto vuota, c’era solo un ragazzo, giovane, sui trent’anni. Ho pensato che potevo stare tranquilla, non correvo rischi di conversazione.
Mi sono seduta vicino al termosifone e sono sprofondata con il viso dentro la mia supersciarpa, tremando di freddo per la febbre che saliva.
Ti auguro di non prendere l’influenza di quest’anno.
Come? Qualcuno ha parlato? Sento le voci?
Ho alzato la testa e ho guardato il ragazzo con aria interrogativa.
Ti stavo dicendo che ti auguro di non prendere l’influenza di quest’anno, perché è terribile”.
Non ci potevo credere.
Ti ringrazio, ma ho già dato, anzi questa è la seconda volta che la prendo, perché a me le cose piace farle bene.”, ho risposto in modo un po’ brusco.
Io sono stato proprio male, ho avuto due giorni di febbre, uno addirittura a 39.”.
Io ne ho avuti sei, di giorni con la febbre a 39, vedi un po’ tu…
Ma non l’ho detto.
Comunque si vede che hai la febbre, hai gli occhi lucidi”.
Ed è andata così, l’ho dovuto ascoltare mentre mi dava i suoi consigli su questa influenza terribile che lui ha dovuto affrontare e mi raccontava di quel vecchietto che era nello studio del medico ed era il nonno di un suo amico, che il padre fa il poliziotto e la madre non mi ricordo e ne aveva passate tante e… non lo so poi cosa ha continuato a dire, perché mi sono limitata ad annuire, mentre lui andava avanti con il suo sproloquio.
Vatti a fidare dei ragazzi giovani, sui trent’anni.

Mio figlio lunedì era dai miei, felice dei due giorni di vacanza regalati dalle elezioni.
Del risultato è meglio non parlarne, sono amareggiata, soprattutto mi chiedo come sia possibile continuare a votare Berlusconi.
Ma se lo chiedono in tanti, a quanto pare.
Comunque, ho telefonato ai miei e ho detto a mio figlio che, se voleva, poteva rimanere a dormire dai nonni, quella sera.
L’ho detto a malincuore, perché io non amo farlo dormire fuori.
Perché io la sera voglio andare in camera sua, vederlo tutto rannicchiato mentre dorme, dargli un bacio sulle sue guanciotte calde di sonno e augurargli la buonanotte.
“Non capisco perché devo rimanere qua a dormire se tu hai la febbre!” è stata la sua risposta e io già sentivo dentro quella piccola punta di orgoglio, che si stava facendo spazio in mezzo al resto.
No, non voglio rimanere, voglio venire a casa.” ha deciso.

Io non ho mai avuto un bel rapporto con mia madre e lei, che non è abituata a mettersi in discussione, ha sempre attribuito tutta la colpa a me e alla mia predilizione verso altre persone, tipo mia nonna.
Il suo anatema è sempre stato quello che, quando avrei avuto dei figli, sarei stata ripagata con la stessa moneta. Con lo stesso pessimo rapporto che io ho avuto con lei. E anche in questo caso, sarebbe stata colpa mia.
E allora, io lo so benissimo che in tutto questo mio figlio non c’entra niente, ma quando l’altra sera mi ha detto che voleva venire a casa, con mia madre alle sue spalle che gli prometteva mari e monti se fosse rimasto…beh… io ho goduto.
Ho proprio goduto.
Che il cielo mi perdoni, ma è stata una grande soddisfazione.

lunedì 18 febbraio 2013

Ma quando passa la febbre?

L’influenza di quest’anno è davvero terribile.
E lo dico io che sono proprio una veterana.
Che non me ne perdo una e ogni inverno, per me, è un appuntamento fisso.
Quest’anno non se ne vuole andare.
Quattro giorni di febbre e ancora mi sento come il primo giorno.
Che poi, va bene la tosse, il mal di schiena da non riuscire a stare in piedi, anche la febbre alta, sennò non sarebbe influenza, ma l’insonnia no.
L’insonnia non la posso accettare.
Dove sono finite quelle bellissime dormite lunghe tutto un giorno e una notte, tra una Tachipirina e l’altra?
Quelle dormite profonde, in cui, a sprazzi, apri un occhio giusto per vedere un tronista e poi lo richiudi immediatamente?
Niente, non si dorme.
Infinite partite a Ruzzle, me la sto cavando così.
E aspetto che passi.


Stamattina intorno alle 12.30 mi suonano al campanello: “Medico fiscale!”.
Solita risposta: “Terzo piano.”
Apro la porta e mi trovo davanti un prete giovane, di colore, che sta analizzando attentamente un foglio di carta.
Alza le mani, spaventato, non stava facendo niente, è venuto per la benedizione della casa, ma c’è un grosso problema, io non risulto nella lista di case da benedire.
Ok, cerco di spiegargli che per me non ci sono problemi e lo avviso che, nel frattempo sta salendo anche il medico.
Lui non mi capisce, forse non parla bene l’italiano, forse io non mi so spiegare, forse non essere presente su quel foglio di carta è veramente un problema.
Medico? No, io sono prete. Facciamo tutti una preghiera?”.
Ora, per me può andare anche bene, sentiamo che ne pensa il medico.
No, medico, medico non c’entra nulla. Se vuoi, preghiamo insieme.
Medico non c’entra nulla, ma nel frattempo è arrivato.
Mi guarda con un’espressione sbalordita, come se con gli occhi mi stesse chiedendo: “Ma la situazione è davvero così grave?”.

Insomma, il risultato è stato che se ne volevano andare entrambi e ritornare dopo dieci minuti.
Non è stato facile convincerli che uno dei due doveva rimanere, perché dopo dieci minuti si sarebbe ripresentata la solita situazione.
Che ne so, forse era una questione di precedenza.
Comunque alla fine è rimasto il medico e il prete è ritornato.
E nel dubbio, visto che non ero nella lista, la casa me l’ha innaffiata ben bene di acqua benedetta.
Non si sa mai…

Viva gli equivoci! 




sabato 16 febbraio 2013

Gli inizi

Adoro gli inizi.
L’inizio di un amore, l’inizio di un progetto, l’inizio di un’avventura, ogni tipo e forma di inizio, di quelli che ti fanno scorrere dentro quella sensazione di paura, adrenalina ed emozione, di quelli che ti portano le scintille sotto la pelle.

E poi le notti insonni, la testa piena di pensieri e il non riuscire a fare niente, senza che quei pensieri non caschino sempre lì, in quel chiodo che si sta avvitando lentamente dentro di te.
C’è linfa vitale, negli inizi.
E’ l’ignoto che ti fa sentire vivo.

Un inizio è la mia vicina di casa che domani parte per l’Ucraina per adottare un bambino.
Oggi l’ho vista nei suoi occhi, quella scintilla.
Ce l’aveva addosso, nello sguardo, nella voce, nelle mani, nella pelle.
Domani parte, è la prima volta che va in aereo, la prima volta che va all’estero, non sa dove dormirà domani sera, non sa quello che ci sarà dopo, non sa come lo riconoscerà, suo figlio, non sa se sarà soltanto uno.
Non sa niente, parte.
Parte, con il sangue che scoppietta sotto le vene.
Parte, dopo giornate sospese, vissute in funzione di quello che ci sarà poi.
Anche se si sa, che poi ci sarà la vita, ci saranno le difficoltà, gli impegni di tutti i giorni, la stanchezza, i problemi e tutto quello che riempe la giornata, da mattina a sera.
Ma quando inizi qualcosa, non esiste più la vita di sempre.
E allora oggi voglio cullarmi con lei in quella sensazione ed entrare nella sua bolla sospesa nell’aria, ad assaporare il suo inizio.
A sentire la vita.
Quella vita che domani sarà quella di ieri, ma oggi no, oggi inizia.


giovedì 14 febbraio 2013

Love is...


Lei è alta, robusta, dal portamento diritto e dal tono di voce acuto e forte, trasmette un’immagine di imponenza, come se tutto, nel suo essere, fosse messo lì per gridare: “Io ci sono!”.
Lui è minuto, un po’ schivo, parla poco e si muove velocemente, quasi furtivo, come uno scoiattolo che salta da un ramo all’altro.
Lei è tendenzialmente forte, ma è attraversata da una serie di debolezze, che, forse, sono tipicamente femminili.
Si infervora, si incupisce, si preoccupa, si inquieta, si perde in una goccia d’acqua, si scoraggia nelle difficoltà.
Lui è una roccia.
Pacato, sereno, tranquillo.
Non si scompone, quasi niente lo turba, perché vive guardando un bicchiere sempre pieno, mai a metà, comunque vadano le cose.
Loro si amano.
Si guardano negli occhi.
Si sfiorano la mano.
Si cercano con lo sguardo, quando sono lontani.
Parlano la stessa lingua.
Hanno un bagaglio che trabocca di vita e che trasportano insieme, hanno anni da raccontare, esperienza da regalare e un sentimento profondo che li tiene uniti.

Lei si voleva sposare, voleva una famiglia.
Lui era molto più grande, ma era timido, solitario, imbranato con le donne.
Lei iniziò a corteggiarlo.
Lui si arrese: “Io non mi sapevo muovere, in quel mondo, ma lei è stata testarda. Si è innamorata dei miei silenzi…”.

Loro camminano insieme.
Lei, a volte, si fa travolgere dalla vita quotidiana, si sente impotente di fronte agli ostacoli, si avvolge in pensieri inutili.
Lui i problemi li affronta quando ci sono, il resto lo banalizza, sorride, fa battute, distrugge i castelli che lei riesce a creare senza fondamenta.
Lei va in aereo e trema tutto il tempo, per la paura che possa cadere.
Lui sorride: “Perché continui a preoccuparti? L’aereo cade? Non è mica tuo…”.
Lui reagisce così, su ciò che ritiene banale.
Lei, ogni tanto, si irrita, ma della compostezza di lui non riesce a farne a meno.
Lei si mette a dieta più volte.
E diventa intrattabile.
Lui vuole lei, non solo l’involucro: “Forse la dovresti finire la dieta, sei dimagrita abbastanza. Lo sai che troppo magra non mi piaci.”.
Lei si prende cura di lui, lo vizia, gli insegna a parlare, là dove i suoi silenzi non sarebbero stati sufficienti.
Lui le regala le sue certezze.

Nei loro sguardi brilla quella complicità, intima e segreta, che appartiene soltanto a loro, da cui il resto del mondo non può che esserne escluso.
Anche se ne sono trascorsi, di anni.
Anche se la vita ci è passata nel mezzo, al loro amore.
Anche se lei pensa al passato e dice: “Ormai..”.
Perché lui le ricorda ancora che “non si dice mai, ormai”.

Loro hanno rischiato di perdersi varie volte negli ultimi anni.
Lei, lui, ancora lei, ancora lui e di nuovo lei.
Ogni volta c’era soltanto terrore negli occhi di chi vedeva l’altro allontanarsi.
Perché dopo un amore così, come glielo dai, un senso, al sole che sorge ogni mattina?
L’ultima volta è toccato a lei.
Doveva subire un’operazione, aveva una grande paura.
Lui ha attraversato il parcheggio dell’ospedale, sotto un violento temporale, mentre faceva freddo e l’ombrello lo aveva dimenticato a casa, insieme a tutto quello che, in quel momento, era soltanto inutile.
E’ rimasto tutta la giornata con lei, con i vestiti bagnati, per non lasciarla da sola, mentre lei lo incitava ad andare a cambiarsi e con gli occhi lo ringraziava, per essere ancora lì.

Loro li conosco da qualche anno.
Loro, per me, sono l’amore.
Non so com’erano prima, se si sono ritrovati nel momento in cui tutto il resto è stato messo da parte, o se non si sono mai persi, nemmeno quando c’era ancora tutto il resto.
Si incontrano mille coppie sgangherate, tutti i giorni, e magari lo è anche la mia, poi ti trovi davanti due persone come loro e non puoi fare altro che rimanerne affascinata.
Due persone per le quali l’amore è davvero guardare insieme nella stessa direzione e non importa se questo lo ha detto Saint-Exupéry o se è una frase dei Peanuts, perché quello che conta è soltanto l’amore.
Che resiste.
Che si sente, si percepisce, ti viene sbattuto in faccia.
Che si legge negli occhi di lei, ogni volta che lo guarda.
Che si sente nella voce di lui, quando le parla.
Che passa attraverso le loro mani, quando cercano il contatto.

Lei si chiama Luigina.
Lui Rino.
Lei ha 79 anni.
Lui 88.
E oggi, sicuramente, si sono scambiati gli auguri.

Buon S. Valentino a tutti quelli che ancora ci credono, all’amore…

mercoledì 13 febbraio 2013

Il mare d'inverno

Oggi nasce il mio blog.

E lo inizio come ho fatto altre volte, con mille altre cose, senza sapere cosa voglio fare, dove voglio andare e perché lo sto facendo.
Lo inizio sapendo che sono una persona incostante e che, magari, tra due giorni mi sarò già annoiata.
Oggi ho voglia di provare, perché è scrivendo che sono sempre riuscita a far uscire le parole che ho dentro.
Oggi quelle parole le lancio nella Rete e provo a condividerle.
Nasce così, il mio blog.
Libero di prendere la direzione che vuole, senza nessun progetto preciso.
Perché il mare d’inverno?
Perché il mare d’inverno è una sensazione.
Quella che sento più vicina a me.





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